Internet: Agorà permanente o Arena di gladiatori? (I giustizieri della rete 3)

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I servi sciocchi

Settimo. Come in tutti gli spettacoli in cui ci si eccita davanti ai bagni di sangue altrui, qualcuno ci guadagna. Si paga un biglietto d’ingresso, ci sono degli sponsor, in certi giorni l’incasso è consistente. Ma quanto consistente? Se si trattasse di un incasso favoloso? E chi ne beneficia? Di certo non i lapidati. Ma neanche il pubblico, né i volenterosi mister Hyde 2.0, che a quanto pare potrebbero essere i servi sciocchi di tutta la faccenda.” (Nicola Lagioia, http://www.internazionale.it/opinione/nicola-lagioia/2016/01/09/internet-insulti-social-network)

Quel che scaturisce dalla lettura de I giustizieri della rete di Jon Ronson, nonché dalle recensioni, è che il dilagare della violenza verbale nei social network non è più attribuibile ai tradizionali troll, a fanatici o pazzi, ma al contrario a persone “normali”, comuni, che sui social si trasformano, da soli o in gruppo, in un branco di assatanati Mr.Hyde 2.0, e trasformano quel che Internet avrebbe dovuto diventare secondo i cyber-utopisti, un’agorà permanente, in un’arena di gladiatori. Non parliamo più di trolls, ma di haters che si trasformano in Mr.Hyde, con le più svariate motivazioni, poco importa se basse o alte, ignobili o nobili, dettate dal’invidia o da una “giusta causa”. Ma in questo “spettacolo” chi fornisce i “contenuti” (i “servi sciocchi”) lo fa gratis, mentre chi fornisce i contenitori ci guadagna un sacco di soldi, e ha interesse a fomentare l’arena piuttosto che l’agorà. Osservare “i social network al loro peggio”, come scrive Lagioia, “è un po’ come per le risse televisive: più fanno schifo, più le guardi. Anche perché quell’oscuro scrutare certe volte è istruttivo. “.

E fra questi “servi sciocchi”, inutile illudersi o far finta di niente, può esserci chiunque: può esserci @dolcecandy, che stalkerizza ossessivamente un cantante famoso; può essere un noto direttore di una nota rivista che improvvisamente si scatena in una serie di tweet deliranti, ma può esserci lo stesso Lagioia, per caso o per malaugurata occasione, e naturalmente possiamo esserci noi stessi. E’ una violenza imprevedibile e trasversale, che non riguarda soltanto la rabbiosa hater che cerca di infangare l’immagine del divo o del vip, ma anche il professionista in carriera frustrato da una qualche aspettativa non realizzata, e perfino il sobrio scrittore che, in un momento di fragilità emotiva usa l’arma del sarcasmo contro la rappresentante di un’associazione culturale, rea di un errore irrisorio, scatenando, senza volerlo, una lapidazione virtuale.

Senza che la mia parte vigile se ne fosse resa conto – ma i bassi istinti dovevano averlo saputo – avevo cercato di dar vita a una lapidazione, e le mani altrui armate di pietre non si erano fatte attendere… la gente, intorno a me, sembrava attendere solo un’autorizzazione, un motivo, per quanto futile, per gettare merda su qualcuno che, fino a un attimo prima, era un perfetto sconosciuto…

Il tutto per un motivo irrisorio….L’agorà permanente che per i ciberutopisti sarebbe dovuta diventare internet, rischia di ridursi a un’arena di gladiatori…Fosse pure stata gestita l’associazione X in modo sciatto, meritava due ore di terrorismo virtuale come punizione? Soprattutto, la mia parte più rozza e primitiva aveva preferito dimenticare che dietro la lettera d’invito c’era una persona in carne e ossa, un essere umano che, esattamente come me, era capace di soffrire, di sentirsi ferito dall’altrui brutalità. A quel punto ho chiesto scusa per l’accaduto all’autrice della lettera e ho cancellato il post per evitare che arrivassero altri insulti.” (N. Lagioia, idem)

Ancora una volta la cyber-utopia si è trasformata in una distopia: che si tratti di rabbia cieca, frustrazione, volontà di distruzione o auto-distruzione, “mai, come in questi frangenti, gli anni novanta così carichi di promesse sembrano lontani.”.

 

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“I contenuti sono in grande maggioranza gratis o quasi. Chi mette a disposizione i contenitori, invece, fa soldi a palate “

E veniamo dunque alle considerazioni finali che Lagioia ricava dalle sue osservazioni.

Primo. A scatenare la violenza, la regressione primitiva, lo scadimento nel mister Hyde 2.0 è spesso una delle passioni umane che in rete (e non solo lì) sta avendo in questi anni maggior corso: il risentimento.

Secondo. Non importa che a provare risentimento sia l’anonima fan/hater della pop star da un milione di follower o il direttore della rivista patinata che si trasforma a tradimento in troll. Non è importante quanti soldi tu abbia, che ruolo svolga, quante persone lavorino sotto di te. In rete, se non stai attento a controllare i tuoi borborigmi emotivi, suonerai sempre un po’ troppo risentito. Sentirai di meritare di più, o che qualcuno ti sta rubando qualcosa.

Terzo. Questo risentimento di fondo può nascere da tante situazioni. L’assenza della fisicità consentita da internet (lo abbiamo detto) può farci provare il brivido di comportarci come bestie in balia degli istinti primari senza che nessuna goccia di sangue sia versata. Può essere il fatto che in un mercato zavorrato dalla crisi ognuno è spinto a credere di ricevere troppo poco rispetto agli sforzi che compie ogni giorno. E tuttavia può esserci anche altro. Per esempio, il fatto che qualcuno ti mette a disposizione un palcoscenico dove sei libero di esibirti ventiquattr’ore al giorno. Tu lo fai, ti esibisci, ricevi degli applausi. Lo spettacolo genera addirittura qualche spicciolo, che subito però svanisce. Non è nelle tue tasche, non in quelle del pubblico. Cos’è successo? Cominci a sentirti nervoso.

Quarto. Recentemente intervistato da Gianni Santoro per la Repubblica, il leader dei Radiohead Thom Yorke, alla domanda “da dove vengono oggi i maggiori profitti per un musicista?”, ha risposto stizzito:

Non lo so, ditemelo voi. Non ho la soluzione a questi problemi. So solo che si fanno soldi con il lavoro di molti artisti che non ne traggono alcun beneficio. Si continua a dire che è un’epoca in cui la musica è gratis, il cinema è gratis. Non è vero. I fornitori di servizi fanno soldi. Google. YouTube. Un sacco di soldi, facendo pesca a strascico, come nell’oceano, prendono tutto quello che c’è trascinando. ‘Ah, scusate, era roba vostra? Ora è nostra. No, no, scherziamo, è sempre vostra’. Se ne sono impossessati. È come quello che hanno fatto i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anzi, quello che facevano tutti durante la guerra, anche gli inglesi: rubare l’arte agli altri paesi. Che differenza c’è?

 

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Quinto. La rete è probabilmente il contesto in cui oggi si sconta la maggiore sproporzione economica tra chi mette a disposizione i contenitori e chi fornisce i contenuti. I contenuti sono in grande maggioranza gratis o quasi (si tratti dello sfogo astioso di @dolcecandy o dell’ultimo meraviglioso album di Sufjan Stevens). Chi mette a disposizione i contenitori fa invece soldi a palate. La musica è stata letteralmente fatta a pezzi da questo sistema di cose…Sta di fatto comunque che mentre il patrimonio di Mark Zuckerberg supera il prodotto interno lordo del Ghana, ai produttori di contenuti non va praticamente nulla, fossero anche il giovane Wittgenstein e il non più giovane Russell che rifondano su Facebook la filosofia del linguaggio.

Sesto. Quanto conta la “struttura” che rende possibile il nostro stare in rete rispetto alla nostra antropologia, alla temperatura emotiva dei nostri comportamenti? Mentre scriviamo un post, un tweet, o discutiamo in una chat, quanto è automaticamente influenzato il nostro umore (consapevolmente o meno) dalle regole profonde (meccanismi economici in primis) che determinano il funzionamento del contenitore che ci ospita? Al di là della nostra libertà di digitare un tweet, quanto è giusta e democratica, e libera, al livello di fondamenta, la struttura di internet?

Se la rete è destinata ad aumentare sempre più il suo potere, e cioè il suo peso economico e politico, non si dovrebbe auspicare nel ventunesimo secolo, per la galassia di internet, ciò che nel novecento è stato oggetto di lotta rispetto al mondo reale? Perché mai dovremmo accettare le regole della rete così come sono, se si tratta di regole anche ingiuste? In fondo non è questo che gli ultimi tre secoli di processi democratici ci hanno insegnato? Avere il diritto/dovere di spendersi per cambiare uno status quo che non ha alcuna intenzione di migliorarsi da sé…

Pur immaginandoli (i padroni della rete) mossi da buone intenzioni, ai loro interessi fanno più comodo un miliardo di utenti risentiti che si comportano come creature neandertaliane o un popolo di gente evoluta che usa internet in modo consapevole, intelligente e complesso? Le @dolcecandy e i mister Hyde 2.0 che si prendono a sputi e randellate nei corridoi virtuali non sono simili a quegli schiavi ai quali – per farli sentire liberi di qualcosa – era concessa ogni tanto la libertà di massacrarsi almeno tra di loro?

Settimo. D’accordo, abbiamo scherzato. Abbiamo letto troppe volte Philip Dick. Nulla di tutto questo è vero. E se una parte lo fosse? Cosa ci costa una scommessa pascaliana? Va bene, non è vero. Fingiamo che il web sia strutturalmente il migliore dei mondi possibili. Lo stesso: che senso può avere andarsene in giro nei panni di mister Hyde 2.0? Al costo delle sofferenze procurate al lapidato di turno, i lanciatori di pietre non traggono alcun vantaggio nel comportarsi in maniera dissennata.

Così la vera domanda è: tenendo conto dei privilegi offerti dal migliore dei mondi possibili – libertà d’espressione, gratuità, istantaneità, capacità di raggiungere persone lontane in un battito di ciglia – quali mondi non stiamo esplorando e quali possibilità ci stiamo precludendo comportandoci come i pazzi sanguinari che non aspiriamo a essere? Che cosa, in fin dei conti, stiamo perdendo nel non usare la rete per evolverci?

(tutte le citazioni da http://www.internazionale.it/opinione/nicola-lagioia/2016/01/09/internet-insulti-social-network)

 

 

Nicola Lagioia – Mr Hyde 2.0 & il Troll in me (I giustizieri della rete 2)

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Il problema – parafrasando Giorgio Gaber – non è il troll in sé, ma il troll in me. Anzi, mentre al troll attribuiamo erroneamente una personalità stabile – un essere ributtante 350 giorni all’anno – qui si tratta di gente “normale” che ogni tanto perde il lume della ragione. Così, meglio parlare di dottor Jeckyll e mister Hyde 2.0. “ (Nicola Lagioia)

 

 

Premessa

 Lo scrittore Nicola Lagioia (Riportando tutto a casa, La ferocia) (al quale spero di dedicare prossimamente un post sulla sua narrativa e sui suoi rapporti con Bari), riprende l’argomento della violenza e dei giustizieri della rete in un lunghissimo articolo su Internazionale (http://www.internazionale.it/opinione/nicola-lagioia/2016/01/09/internet-insulti-social-network) in cui, oltre ricordare alcuni esempi ripresi dal libro di Jon Ronson  (Codice ed.)  ne riporta altri, italianissimi,  (Aldo Nove, @dolcecandy, se stesso),  e fissa alcuni punti di discussione che possono servire da promemoria per ulteriori approfondimenti.

 

La violenza in rete in questione non è quella dei terroristi o dei fanatici di professione, ma quella delle “persone normali”, che si trasformano per qualche ora al giorno in “mostri sanguinari”. Ronson, quando ricostruisce il caso di Justine Sacco, solleva alcuni interrogativi:

Può la sete di giustizia scatenare una reazione mille volte più violenta dei comportamenti che vorrebbe censurare? E quale giustizia è quella che agisce rispolverando l’antico strumento della gogna? …I messaggi contro di lei (Justine S.) avevano alimentato un gorgo di insulti sempre più furibondi, selvaggi, scomposti, risentiti. La voce di una persona contro quella di migliaia. E anche se il tweet che aveva innescato la gogna era particolarmente odioso e stupido (“Sto andando in Africa. Spero di non prendere l’aids. Sto scherzando. Sono bianca!”), la stupidità della tempesta che ne è seguita è stata addirittura superiore. Non solo le punizioni che i volenterosi censori auspicavano per la “colpevole” rischiavano di far passare per moderati i vecchi boeri favorevoli all’apartheid, ma la paradossalità di certi ragionamenti risultava disarmante. Avete presente quei pacifisti che si proclamano tali quando affermano di voler vedere morire chi è a favore della pena di morte? Il tutto, naturalmente, in nome della civiltà e della dea ragione.”

Il troll assetato di sangue, in questo caso, non è un nazista o un leghista a caccia di immigrati o di “zinghiri” da bruciare, non ha il poster di Anders Breivik in camera, ma può essere una tranquilla professoressa di liceo, avere il poster di Martin Luther King, e cantare “Imagine” dei Beatles. Può essere il “bravo democratico” o il “cittadino indignato” in lotta per una giusta causa, o ciò che egli ritiene tale.

Lo scrittore Aldo Nove, per aver espresso un suo punto di vista, probabilmente ironico, sulla sua pagina Facebook, a proposito di un argomento scottante quale il fallimento della Banca Etruria e il suicidio del pensionato, si è ritrovato coperto di centinaia di insulti violenti che ne hanno sancito la “lapidazione telematica”, ripetendo, sia pure in modo più circoscritto, il caso Justine Sacco, e quindi ponendo ancora una volta gli interrogativi sulla gogna mediatica.

Da una parte la difesa della persona umana contro chi voglia trattare superficialmente il mistero che rappresenta, nel quale riposa anche l’eventualità di un suicidio. Dall’altra, la trasformazione dell’accusato (Aldo Nove) in una “non persona” contro cui si può dire di tutto. Si brandisce la dichiarazione dei diritti umani (o il corpo di un suicida) per sentirsi liberi di comportarsi come l’Eichmann della porta accanto a cui nessuno ha mai impartito un ordine in tal senso. Il tutto, naturalmente, senza mai uscire dalla sfera del virtuale.”

Ad Aldo Nove sono state augurate sciagure di ogni tipo: malattie, indigenza, morte violenta. Contro di lui sono stati scagliati gli insulti più sfrenati e le accuse più inverosimili. Una su tutte: quella di essere un ricco nullafacente protetto da una kasta che – di messaggio farneticante in messaggio farneticante – era auspicabile a un certo punto fosse come minimo il gruppo Bilderberg perché l’odio risultasse più intenso e giustificabile.”

Ma i nostri novelli Eichmann, i lapidatori virtuali, prosegue Lagioia, si guardano bene dall’approfondire le questioni relative alle banche o dal partecipare alle iniziative promosse dagli stessi obbligazionisti “truffati”. Ai nostri Mr.Hyde importa soprattutto “muovere febbrilmente le falangi sulla tastiera (per soddisfare) l’esigenza sempre più parossistica di avere qualcuno da fare a pezzi”, in modo che la “colpa” del lapidato li illuda di avere, in branco, la coscienza “immacolata”.

I casi di Aldo Nove e Justine Sacco sono due gocce nel mare di odio a buon mercato da cui siamo circondati – non è difficile immaginare l’hater che appende il suo kalashnikov alfanumerico a un qualche tipo di muro e si reca mansueto al lavoro, o a far la spesa, o va a versare un assegno nella banca sotto casa dove tratta tutti con gentilezza.”

In questi casi non abbiamo a che fare col troll abituale, ributtante tutto l’anno, al quale rinfacciare a nostra volta tutte le infamie, riservando a noi stessi tutta la purezza, ma ci riferiamo a “quelle persone sensibili e civili che credevamo di essere, (mentre) ci ritroviamo intrappolate nel cervello di un mostro primitivo”. E “una volta cessata la lapidazione, rientriamo nei nostri ruoli sociali come se niente fosse dimenticandoci di aver scagliato la prima o la centesima pietra”. Il diritto di critica, reso accessibile dalla Rete (Dr.Jekyll) si è trasformato molto spesso “nel diritto a spaccare virtualmente la faccia al prossimo” (Mr.Hyde).

 

 

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La lapidazione telematica, punto per punto.

I Troll 2.0, o haters (https://en.wikipedia.org/wiki/Hater_%28Internet%29),  i giustizieri della rete, non sono più, come dicevamo anche nei post precedenti, delle eccezioni, come i Troll 1.0, che di solito amavano provocare dei flame magari per divertimento, per spirito di contraddizione o per testare i limiti delle argomentazioni altrui, a volte anche con intelligenza e conoscenza di quegli argomenti. Il Troll 2.0 non è un “cattivo”, per definizione o per gioco, anzi è un “buono”, una “persona normale”, un “onesto cittadino”, che difende, a suo dire, ottime cause, ma per il quale ogni causa è buona se può permettergli, senza troppi ragionamenti e approfondimenti, di “spaccare virtualmente la faccia al prossimo”.

 

Primo. Un essere umano altrimenti frequentabile diventa all’improvviso un concentrato di stupidità e violenza. A un certo punto, lo sorprendiamo mentre si aggira nei labirinti telematici con la bava alla bocca e una pietra stretta in mano. Gli domandiamo: “Ehi, che ti succede?”. Lui risponde ringhiando di aver deciso di scendere in campo in nome della giustizia, farfuglia di valori democratici che secondo lui sono stati violati. Usa l’avambraccio per pulirsi un po’ di bava. Poi dice: “Scusa, ho da fare”. Scompare dietro l’angolo. Subito dopo sentiamo un colpo sordo seguito da un urlo strozzato di dolore. La prima pietra è scagliata.

Secondo. Subito dopo la trasformazione, tutti i comportamenti del mister Hyde 2.0 (lo stato di furibonda eccitazione che promana da ogni virgola) fanno presumere che egli sia felice che il lapidato abbia commesso un errore, che abbia detto o fatto ciò che secondo lui giustifica il lancio delle pietre. È felice, per esempio, che Justine Sacco abbia scritto il tweet razzista. Non aspettava altro, perché questo lo fa sentire libero di brandire la clava, di bere il sangue del nemico sollevando con due mani la coppa ricavata dal suo teschio.

Terzo. La violenza è contagiosa. Più è stupida, più è virale. Ecco che a ogni retweet, a ogni condivisione, a ogni endorsement della propria follia omicida, il mister Hyde 2.0 si sente sempre più galvanizzato, più protetto, più giusto, più puro. Non importa che l’escalation di violenza raggiunga vette sempre più vertiginose. Non importa neanche se la clava è travestita da fioretto. I più scaltri tra i mister Hyde 2.0 (basti pensare a ciò che accade nell’ambiente letterario) travestono di raffinato sarcasmo un’energia che, gratta e gratta, ha la stessa primitiva brutalità di chi ti insulta senza sentire il bisogno di citare anche Baudelaire.

Quarto. Il mister Hyde 2.0 non crede che dall’altra parte dello schermo ci sia un altro essere umano. La cosa, semplicemente, non gli sembra verosimile. E così trasforma e tratta il “colpevole” senza il quale non esisterebbe come una “non persona”.

Quinto. Il problema è che se il mister Hyde 2.0 si ritrovasse quel “colpevole” davanti nel mondo reale, non riuscirebbe a essere così violento. Il maleficio della regressione svanirebbe all’istante. Da una parte scatterebbe un antichissimo meccanismo inibitorio legato all’altrui e alla nostra fisicità (se insulto brutalmente chi mi sta di fronte, quello può arrabbiarsi e farmi male), dall’altra, si attiverebbe al tempo stesso un dispositivo più moderno e altrettanto salvifico: quello legato all’empatia, la consapevolezza che chi ci sta di fronte soffre e sanguina proprio come noi. Di conseguenza, se lo insultiamo con assoluta mancanza di pietà, nel suo sguardo ferito riconosciamo la nostra ferita potenziale, il nostro diritto a non essere calpestati in quel modo.

Sesto. Prova ne sia il fatto che quando il mister Hyde 2.0 si ritrova nei panni di chi subisce a sua volta un attacco violento si mostra di solito particolarmente addolorato, risentito, spiazzato e infine scandalizzato, incredulo che dall’altra parte dello schermo possano esistere simili mostri.

Settimo. Come in tutti gli spettacoli in cui ci si eccita davanti ai bagni di sangue altrui, qualcuno ci guadagna. Si paga un biglietto d’ingresso, ci sono degli sponsor, in certi giorni l’incasso è consistente. Ma quanto consistente? Se si trattasse di un incasso favoloso? E chi ne beneficia? Di certo non i lapidati. Ma neanche il pubblico, né i volenterosi mister Hyde 2.0, che a quanto pare potrebbero essere i servi sciocchi di tutta la faccenda.

 

2. continua

L’Era dei Trolls – dai blogs a facebook (un articolo di Mauro Baldrati)

brothers__atots_trolls_by_bumhand-d6il9q8Nella prima metà degli anni Novanta, quando Internet era solo un giovane di belle speranze adulato da tutti i tecnofili, già nei primissimi forum si faceva anche un gran discorrere di net etiquette, flame wars, trolls, etc, e cioè di come porre un rimedio alla presenza, peraltro assai limitata e controllabilissima, dei primi trolls. Dopo un ventennio, i trolls in fondo hanno vinto, trasformando quasi l’intera Rete in una gigantesca cloaca maleodorante…Forse, come avevano già intuito Victor Hugo e George Wells nell’Ottocento, è il destino di tutte le grandi Reti quello di trasformarsi, per contrappasso, in una gigantesca rete fognaria di stampo fascista…La voce della fogna…

“I Troll erano erranti, ma più spesso stanziali. Talvolta autori loro stessi di un blog, si insediavano in un sito più autorevole, con molti lettori e commentatori, e scatenavano tutta l’aggressività di cui erano pervasi. Tentavano di stroncare qualunque articolo, di qualunque genere e scritto da chiunque. Attaccavano anche l’autore, cercando di farlo apparire come un ignorante rimbambito, indegno di scrivere anche solo una lista della spesa. Erano piuttosto bravi, scaltri, subdoli e a loro modo studiosi. Infatti, non appena riuscivano a individuare un errore, un riferimento sbagliato, un dato incompleto, si avventavano sul malcapitato coprendolo di epiteti del tipo “sei un insulto alla letteratura” e similari. I Troll per alcuni erano diventati un incubo, e sappiamo per certo che per causa loro qualche scrittore ha smesso di intervenire in un determinato sito.

Nel retro sportello di qualche blog si discuteva animatamente su quale atteggiamento tenere coi Troll. Alcuni redattori sostenevano che i commenti andavano chiusi, o quanto meno moderati con mano ferma, perché, oltre al danno creato dalla violenza verbale, non era giusto offrire uno spazio agli sproloqui di psicopatici. Altri invece sostenevano che i Troll erano a modo loro un prodotto deviato di quella rivoluzione, e che occorreva affrontare il rischio e il disagio, perché sarebbe stata contraria all’ispirazione del sito qualsiasi forma di censura.

Poi i blog sono diventati obsoleti, perché sono spuntati i social, che hanno travolto in poco tempo quasi tutti i siti, molti dei quali hanno chiuso, mentre altri resistono, dopo avere adottato riforme strutturali per renderli sempre più simili a vere e proprie riviste.

Facebook, il principe dei social, ha fagocitato quasi tutto lo spazio dei blog, aspirando i commentatori e i lettori, che sono diventati dei nuovi bloggers rifondati, alimentandosi a vicenda col sistema dei “mi piace”, che ricevono dopo averli dati alle pagine di altri “amici”. La rete si è allargata, globalizzata, fino a raccogliere milioni di utenti.

Ma i Troll non sono scomparsi. Anzi, sono mutati, si sono per così dire incattiviti, liberando senza freni forme di aggressività violenta, di razzismo, di fascismo, di misoginia e omofobia che nella precedente versione in fondo erano tenute sotto controllo, pena l’eliminazione dei commenti e la radiazione dalla lista dei commentatori. Insomma, tutti i sentimenti più bassi, in una sorta di esplosione di demenza e negatività. Il problema etico dello spazio ai deliri di psicopatici non si pone, perché il sistema si sostiene e cresce sugli “utenti”, aumentando la propria forza contrattuale nella raccolta di pubblicità con la potenza di un parco utenti poderoso. Al massimo a qualcuno tra i più estremi può capitare di ritrovarsi la pagina bloccata per un mese, quando la violenza e la qualità degli insulti può diventare pericolosa, per le denunce. Ma quando tornano sono più inferociti di prima…

Tutti i sentimenti più “bassi” della specie insomma, che vengono scatenati in un gioco fatale di auto alimentazione, che costituiscono una sorta di plusvalore per le destre e per i detentori dei “parchi utenti”. In definitiva è un’uscita dal reale, e un’entrata nel nulla, del quale si nutrono tutte le metafisiche di questo mondo.”

 

continua:

http://www.carmillaonline.com/2015/12/17/vecchi-e-nuovi-troll-nella-suburra-di-facebook/