The Social Network (2010)

conta solo arrivare primi

   E’ di qualche giorno fa la notizia che Facebook compra Instagram, una compagnia di photosharing di San Francisco la cui app conta già 30 milioni di utenti, per un miliardo di dollari. All’inizio del 2011 Instagram aveva appena 5 dipendenti e meno di 7 milioni di utenti. Una compagnia in rapidissima ascesa, proprio come la Facebook degli inizi. Instagram ha già una sua peraltro curiosa parodia, Boobstagram, milioni di “big boobs” per la lotta contro il cancro del seno.

Fin dall’inizio l’avventura di Facebook, così come è raccontata nel film “The Social Network” (2010) (ripreso dal libro di Ben Mezrich, The Accidental Billionaires, it. Miliardari per caso, Sperling and Kupfer), è segnata dai grandi, grandissimi numeri in veloce ascesa, e allo stesso tempo dall’assoluta necessità di arrivare (e restare) primi. Non si può ottenere questo, però, solo con qualche brillante intuizione da nerd. Occorre violare un mucchio di leggi, convenzioni, istituzioni, preconcetti, principi morali, per poi imporre i propri – e tutto in gran velocità. L’essenza stessa del capitalismo finanziario.

La prima violazione fondamentale riguarda il concetto stesso di “social network”, di “rete sociale”, in termini qualitativi e quantitativi. Le reti sociali o comunità tradizionali si sviluppano su argomenti e interessi ben definiti e limitati, e quantitativamente un singolo gruppo non dovrebbe superare il cosiddetto numero di Dunbar, ovvero 150 persone, che rappresenta il limite entro il quale un individuo è o sarebbe in grado di mantenere relazioni sociali stabili e riconoscibili. Nel caso specifico dell’Harvard College, dov’era iscritto Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, si parla dei social club esclusivi (final club) studenteschi, di cui 8 maschili e 5 femminili, più altre associazioni non-profit e le nicchie underground. Interessante il fatto che mentre i club maschili  risalgono a un secolo fa e oltre, i 5 final club femminili sono di recente costituzione (da The Bee nel 1991 a La Vie nel 2008). I social club sono fonte di ricchezza, prestigio, potere (da essi provengono leaders mondiali, grandi finanzieri, miliardari). E ad essi aspira Mark,  il ragazzo maldestro, goffo, che avrebbe rigirato l’intero concetto di social network.

 

Con l’avvento del Web 2.0 questa “regola dei 150” viene praticamente violata e dissolta, per essere sostituita da una molto più ampia e apparentemente molto più “ricca” e interessante. Si può comprendere quindi come le recensioni del film possano essere pessimiste, per chi teme il dissolvimento delle tradizionali comunità affettive,  o ottimistiche sulle magnifiche sorti e progressive e l’arricchimento dei contatti (Casaleggio, D. (2008). TU SEI RETE. La Rivoluzione del business, del marketing e della politica attraverso le reti sociali.). Non è quindi un caso che la prima violazione di Mark Zuckerberg è l’intrusione nei database di sette college femminili dell’Università di Harvard, con cui riesce a ottenere ben 22000 contatti in una sola notte! Ma a ben vedere, si tratta di una triplice violazione: nei confronti della propria ragazza, nei confronti dei fratelli Winklevoss, nei confronti dell’istituzione universitaria e dei suoi database. E più in generale nei confronti della vita privata delle ragazze. E una delle Università più esclusive e prestigiose del Pianeta che viene praticamente dissacrata da un piccolo gruppo di ragazzi scaltri, e diventa un modello vincente della nuova socialità in rete, TheFacebook appunto.

Se Balzac affermava che “Dietro ogni grande fortuna c’è sempre un grande crimine”, (la frase originaria in realtà dice che “Le secret des grandes fortunes sans cause apparente est un crime oublié, parce qu’il a été proprement fait”), nel caso specifico di Zuckerberg e della sua creatura, la fortuna non cominciò con un crimine ma piuttosto con uno scherzo da college. La velocità, i numeri in rapidissima ascesa, l’indifferenza verso coloro che si attardano in soluzioni superate (l’amico Eduardo, i fratelli Winklevoss, la sua stessa ragazza, e perfino, almeno in parte, verso Sean Parker, il fondatore di Napster), le violazioni d’ogni genere (il film si svolge come un continuo processo per violazione delle norme di sicurezza, violazione del copyright, violazione della privacy, violazione della politica universitaria sulla distribuzione di immagini digitali, etc.), costituiscono per Mark il vero e proprio Algoritmo mentale di Turing, non solo  per classificare le ragazze (per cui sarebbe bastato l’originario sito Facemash, o l’Harvard Connection dei Winklevoss), ma per espandersi in tutto il mondo in pochissimi anni.

   Questi elementi ci vengono presentati già nella prima scena del film, in cui Mark litiga e viene lasciato dalla sua ragazza, Erika Albright. Alla fine del film Mark cerca di contattare Erika proprio su Facebook. Ma alla fin dei conti, né lui stesso, né Erika, né Sheril Sandberg  o Sean Parker sono più essenziali. Si tratta di comparse, fortunate certo, di un crimine fatto appropriatamente, quasi senza tracce. L’unica cosa che importa è l’algoritmo di Turing.

Lascia un commento